Nei giorni scorsi tutti i mezzi di comunicazione hanno ricordato gli anniversari dei due eventi che hanno segnato questi ultimi anni: L’epidemia del COVID e l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Due eventi tragici che hanno causato migliaia di morti che volevo ricordare anch’io su queste pagine, ma sui quali è molto difficile scrivere qualcosa. Da giorni ci sto provando, accumulando appunti che mi sembrano sempre inadeguati, ma siccome non so fare meglio ecco, per quel che valgono, alcune osservazioni piuttosto inconcludenti.
La principale considerazione che mi viene in mente è che, in tutti e due i casi, abbiamo visto le tragiche conseguenze della incapacità degli organismi di governo, nazionali internazionali, di intervenire in modo adeguato di fronte a delle crisi di grande portata, ma anche l’impotenza e la rassegnazione di noi persone comune a fronte di questa inadeguatezza delle istituzioni.
Un po’ di giorni fa è stato pubblicato un rapporto dell’organizzazione mondiale della sanità, in cui si fa il punto su cosa l’esperienza del COVID dovrebbe insegnarci per il futuro. Il dato più eclatante riportato nel rapporto è ben noto, ed è che la pandemia ha colpito in modo ben diverso i paesi ricchi e quelli poveri. Basta citare la statistica delle vaccinazioni per rendersene conto: mentre nei paesi ricchi circa il 73 % della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino, nei paesi poveri la percentuale non raggiunge il 31% ( per questi e altri dati si veda l‘articolo di Nature). Nonostante gli sforzi di molte associazioni umanitarie e anche di diversi Paesi, non siamo stati in grado di contrastare la forza delle grandi multinazionali del farmaco, che si sono opposte ad ogni ipotesi di liberalizzazione dei brevetti e che hanno potuto guadagnare miliardi con i contratti fatti con i paesi ricchi. I programmi di aiuto per fornire vaccini ai paesi poveri sono stati insufficienti e sono serviti più che altro come copertura di comportamenti predatori. Anche da parte di molti paesi ricchi che hanno fatto di tutto per accaparrarsi le forniture prima e più di altri. I richiami alla solidarietà, ma anche le considerazioni scientifiche che suggerivano la necessita di contrastare l’epidemia in modo globale sono serviti a poco. Quale insegnamento trarre da questo? L’ OMS suggerisce di prepararsi fin d’ora a gestire le prossime pandemie (che prima o poi arriveranno), con un meccanismo simile a quello adottato per le conferenze sul clima, le cosiddette COP, o Conferenze delle Parti, mettendo in piedi un altro apparato diplomatico gigantesco, fatto di rappresentanti di governi, ONG e enti vari. Insomma, la risposta rischia di essere un altro carrozzone incapace di prendere le decisioni rapide che sono invece necessarie in una crisi sanitaria. In un altro articolo di Nature, si evidenza l’inadeguatezza di questa proposta dell’OMS. Ma temo che le proteste le denunce del mondo accademico serviranno a poco contro le grandi multinazionali del farmaco, che hanno tutto l’interesse ad alimentare apparati farraginosi e inconcludenti, proprio come anno fatto le grandi industrie energetiche e inquinanti riguardo ai problemi climatici.
L’altro tragico anniversario e quello della guerra in Ucraina. E su questa guerra l’impotenza è ancora più evidente. Chi sostiene che la strada delle armi può portare solo altre morti e distruzioni è inascoltato e zittito. Mentre si impone l’idea che la fine di questa guerra non si può raggiungere con un compromesso, ma solo con la vittoria di una delle parti. Lo schieramento dei mezzi di informazione favore della guerra è tale che sembra quasi impossibile trovare un modo efficace per contrastare questo pensiero dominante. Le manifestazioni pacifiste sembrano stanche, inefficaci e di pura testimonianza. Ance in questo caso è molto difficile dire cosa si possa fare.
Per puro caso, mi è capitato negli ultimi giorni di imbattermi per un paio di volte (in un film e in un libro)in una storia che hai ha fatto pensare. La prima, nel film ” Il Processo ai Chicago 7” dove, verso la fine, nel tribunale dove si celebra il processo, uno degli imputati si mette leggere l’elenco dei soldati morti in Vietnam dal momento di inizio del processo fino alla sentenza. Migliaia di nomi che danno un senso palpitante a quella dimostrazione contro la guerra in Vietnam che era sfociata in duri scontri con la polizia fuori dalla convention democratica. Nel libro (la memoria del Topo) l’elenco dei morti è ancora più lungo, sono le 58.318 vittime americane della guerra in Vietnam, scolpiti sul Vietnam Veterans Memorial di Washington.Il fatto che tutti quei morti avessero un nome forse ha contato qualcosa per porre fine a quella terribile guerra. Anche allora però c’era una differenza. Delle decine di migliaia di morti americani si sapevano i nomi, ma i milioni di morti vietnamiti erano solo dei Charlie.
Di questa guerra che si sta combattendo ora invece non sappiamo nemmeno il numero delle vittime. I numeri sono approssimati e falsati dalla propaganda e anche chi cerca di raccogliere informazioni attendibili, come in questa pagina, non può fare molto. Forse se qualcuno tra i giornalisti che commentano la guerra cercasse di compilare un elenco di nomi e non solo di numeri, anche la percezione di questa guerra cambierebbe.
Proprio in questo periodo dell’anno corre anche il cinquantesimo anniversario della conclusione ufficiale della guerra in Vietnam, con la firma degli accordi di Parigi. Nessuno sembra ricordarsene, ma fu un evento memorabile, frutto di una trattativa che era iniziata cinque anni prima quando ogni trattativa sembrava impossibile. Eppure la guerra era arrivata a un punto talmente insostenibile che la trattativa iniziò, e fu grazie a quella volontà di mettersi attorno a un tavolo (e per mesi le delegazioni discussero della forma del tavolo) anche da posizione apparentemente inconciliabili, che nacque la possibilità di arrivare al cessate il fuoco. Perché oggi so continua ripetere che non è possibile nemmeno avviare un confronto? E cosa c’è oggi di così diverso che lo impedisce? Allora le manifestazioni contro la guerra erano all’ordine del giorno. e la pressione sul governo americano era molto forte sia in USA che in Europa. Perfino slogan folli come “10, 100, 1000 Vietnam” potevano suonare più come una richiesta di fine della guerra che come inviti a nuove guerre.Nessuno, per ora, si sognerebbe di gridare 10 100, 1000 Ucraine, per spingere Putin a trattare, ma il rischio è che ci si possa arrivare allungando enormemente quell’elenco di nomi che non conosciamo.