7 novembre 2021

Bella la rappresentazione della Boheme di ieri sera. Un allestimento tradizionale, semplice ma efficace e bravi i cantanti, mi è sembrato, anche se a me questa opera non mi entusiasma molto, nonostante la sua popolarità. Forse bisognerebbe sentirla un po’ di volte per orecchiare meglio la musica e anche per cercare di capire i dialoghi che si sovrappongono e a volte risultano proprio difficili da capire.

Il teatro era pieno e alla fine ci sono stati una decina di minuti di applausi, con la regista, Renata Scotto, raggiante sul palco con tutta la compagnia.

Oggi siamo rimasti in casa tranquilli, preparandoci ai giorni che ci aspettano con le due bimbe da curare. Così ho tempo di ricordare e scrivere qualcosa a proposito del Piano Nazionale Informatica (PNI), cui ho accennato qualche giorno fa, parlando della vicenda di Olivetti e dell’ingegner Tchou.

Il piano fu un grosso progetto di ammodernamento dell’insegnamento scientifico nelle scuole superiori italiano (riguardava matematica e fisica in particolare), che venne sviluppato negli anni dal 1985 al ’90. In quegli anni insegnavo all’Istituto d’arte di Cantù dove era arrivato da poco un nuovo preside (Giovanni Landi) che era molto interessato a introdurre innovazioni informatiche nella scuola. Così ci eravamo dotati di uno a due computer Olivetti M20, appena messi in vendita e che erano a disposizione degli insegnanti. Su uno di questi mi misi a programmare, sviluppando un programma per fare un po’ di geometria e rappresentazione di forme. Una sorta di CAD casalingo, e stavamo cominciando pensare come utilizzare queste macchine nell’insegnamento. Così, quando il ministero lanciò il concorso per arruolare dei formatori per il PNI, decisi di provare, ma senza impegnarmi in modo particolare per prepararmi alle prove di selezione. Greta era piccola (aveva forse un paio d’anni) e non è che avessi proprio voglia di cambiare i ritmi famigliari, ma l’idea di imparare qualcosa di nuovo mi piaceva. Comunque fui scelto e partecipai ai seminari di formazione presso l’istituto CILEA di Milano e alla fine divenni un “formatore”. Ricordo che in quei corsi era già deciso quale piattaforma informatica sarebbe stata utilizzata nelle scuole. I computer in uso sarebbero stati quelli compatibili con i sistemi IBM, e dotati del sistema operativo del tipo DOS, il cui rappresentante più diffuso era il famosoMS-DOS che fece ricco Bill Gates. Tra i formatori si discuteva di questa scelta e molti non la condividevano preferendo i personal computer MacIntosh della Apple. In quegli anni la rivalità tra due tipi di PC, apparsi quasi contemporaneamente sul mercato, era molto accesa.

A Cupertino non c’era solo la Apple. Anche la Olivetti aveva aperto lì un suo centro di ricerca che aveva sviluppato un personal computer completamente diverso dai due contendenti, sia per la scelta del processore che per il sistema operativo sviluppato appositamente: il PCOS. Erano questi i computer su cui avevamo iniziato a lavorare all’Istituto d’arte. Così, tra i formatori, io ero forse l’unico ad aver utilizzato l’Olivetti M20 con il sistema PCOS e non avevo voce in capitolo. Ma a quanto pare non ebbero nessun peso nemmeno considerazioni più ampie di interesse nazionale, infatti la Olivetti rinunciò presto a una sua linea autonoma di personal-computer e sostituì l’M20 con un nuovo modello (M24) compatibile con i computer IBM.

A parte questa scelta, che determinò l’architettura dominante dei computer su cui è cresciuta l’informatizzazione della nostra scuola, il PNI fu comunque una esperienza che ricordo come positiva. Non solo insegnavamo l’informatica, linguaggi, strumenti di scrittura, di calcolo e di gestione dei dati, ma anche utilizzavamo massicciamente il metodo del lavoro di gruppo per affrontare in modo originale argomenti disciplinari di matematica e fisica. Insomma si cercava davvero di innovare un po’ i metodi idi insegnamento facendoli sperimentare ai corsisti che poi avrebbero dovuto applicarli nel loro lavoro di insegnati.

Feci il formatore per un paio d’anni. Nella mia equipe c’erano altri tre formatori di Milano e lavorammo quasi sempre presso l’Istituto Feltrinelli di Milano dove si tenevano i corsi per i docenti della Lombardia. Però una volta ogni due mesi (mi pare) andavamo per una settimana a Napoli o ad Alghero, dove tenevamo gli stessi corsi per la Campania e la Sardegna, regioni dove mancavano formatori ed erano trasferte divertenti e istruttive per conoscere il panorama scolastico di altre zone del Paese. Alla fine forse il piano servì, oltre che a preparare un po’ di insegnati per utilizzare gli strumenti informatici, anche a omogenizzare un po’ la formazione degli insegnati stessi sul territorio nazionale.

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